mercoledì 21 ottobre 2009

Stesura del Romanzo terminata (è una buona notizia?)


Terminata l’ultima stesura del libro che, giuro, se fa cagare mi meno giù dal balcone, perché che cazzo, non dovrebbe, da quant’è che ci sto lavorando, un anno? Un anno ittat’ diciamo, agenda vuota, sti fatti qua, si vede che di meglio da fare non avevo. E comunque, già lo so, il coraggio di buttarmi mica ce l’avrei, anche perché ho prodotto troppo poco fin qui, e la mia carriera non ne trarrebbe alcun giovamento. Mi tocca impacchettare tutto e mandare all’editore, e poi si vedrà, mal che vada al centro riciclaggio carta mi daranno giusto quel qualcosa per ammortizzare i costi di stampa.

A parte le stronzate, ormai questo romanzo (in cui ho creduto molto, e in cui credo ancora, anche se sono troppo spossato per ammetterlo) ha raggiunto un tale livello di prevedibilità - ricordo le frasi a memoria - che mi è impossibile giudicarlo onestamente. Ma anche fingendo che il risultato sia disastroso, ho trovato l’esperienza utile, una buona palestra per mettere in pratica il materiale teorico e pratico accumulato fin qui. Quando ne comincerò uno nuovo (e almeno per la prossima settimana non ne ho l’intenzione), eviterò di cadere in un mucchio di ingenuità, che hanno triplicato la mole di lavoro, ritardando il tutto di crca 6 mesi.
Però è inutile rivangare, e poi da queste parti mi dicono che il pessimismo non paga, e io sono d'accordo, perciò al bando dubbi e paure inutili, il libro è bello, quello che non và, se c'è, si aggiusterà. Mò lo farò girare, e qualcosa succederà. Viva la letteratura!

giovedì 8 ottobre 2009

Che delusione il cinema italiano


Quest’anno aspettavo con ansia la triade italiana sfilata al festival di Venezia e tornata a casa senza il becco di un riconoscimento (attori a parte). E l'aspettavo non tanto perché i film mi fossero sembrati particolarmente brillanti attraverso i canali mediatici con cui ho vissuto le anteprime (trailer, articoli, animate discussioni televisive tra critici); gli elementi su cui facevano affidamento le mie speranze partivano dai forti segnali dell’anno passato “Gomorra” e “Il Divo”, che sembravano aver lanciato un sassolino nel lago stagnate del cinema italiano da cui, non dico dovesse svilupparsi un’onda anomala e inarrestabile, ma quanto meno una timida corrente che andasse verso un’inesorabile ripresa (seppur lenta) di tutto l’ambiente. Invece mai come oggi mi sento disilluso, e inizio a pensare che i fenomeni Garrone e Sorrentino (i cui ultimi e bellissimi film non sono neanche i loro lavori migliori) siano un caso isolato, piuttosto che un segnale di ripresa. Se mi illudevo che stesse per succedere qualcosa, insomma, mi sa che ho toppato di brutto.

Il grande sogno: la pellicola di Placido è adolescenziale, a volerle fare un complimento. La regia è buona, come lo era in “Romanzo Criminale”, ciò che manca rispetto a quel film è una sceneggiatura di una qualche consistenza (e qui sarebbe ora che i produttori imponessero ai registi di affidarsi a scrittori di professione per il testo, invece di lasciarli in balia della loro folle ispirazione che spesso si riduce ad arrangiare assieme roba sentita qua e là). La storia si svolge così: un giorno c’è la vita normale, un altro giorno un ragazzo viene bocciato a un esame e … il 68! Ma la cosa più fastidiosa è che i personaggi sono assolutamente stereotipati, e di conseguenza i dialoghi risultano prevedibili e banali, arrivando a suscitare nello spettatore un senso di tenerezza verso gli attori, tenerezza che si trasforma in pietà o addirittura rabbia in caso di accertata parentela con un membro della compagnia. Il film si riprende un po’ nell’ultima mezz’ora, a seguito di un paio di colpi di scena, ma ormai è davvero troppo tardi. Vi giuro che dopo i primi dieci minuti volevo alzarmi e tornarmene a casa, sensazione che prima d’ora avevo provato solo con “La mano de Dios” di Risi figlio.
Placido ha passato il dopo festival a sbraitare (giustamente) contro le offese arrivate da membri del governo, nani e non, senza sapere che proprio alle polemiche deve un successo di pubblico altrimenti inspiegabile, perché dubito che il passaparola abbia aiutato.
Ho letto un articolo che parlava male del film, ma che chiariva le attenuanti già nel titolo Com’è difficile raccontare il 68’. Mi permetto di dissentire. Senza far riferimento ai capolavori del neo-realismo capaci di concentrare nella storia di un individuo tutta la sofferenza di un periodo storico, vi dirò: guardatevi “Milk”. I temi trattati sono simili: movimento di massa e rivoluzione politica, in un contesto intriso di scetticismo e bigottismo; solo con i gay all’arrembaggio al posto dei marxisti. Il film è un capolavoro commovente, che ha il merito di non dare mai la conoscenza degli avvenimenti per scontata.

Baarìa: il discorso per Tornatore è diverso. Se quello di Placido è un film riuscito male, questo è un film che poteva riuscire meglio. Durante la prima ora e mezza ho assistito al Tornatore già visto e apprezzato, padrone di una poetica che diventa una marca stilistica, una chiave capace di trascinare il pubblico nello scrigno segreto in cui riposa il passato del regista. Alla pausa pensavo è impossibile che il film possa perdere l’Oscar, e invece dopo aver assistito alla seconda ora e mezza sono sicuro che lo perderà. In pratica Tornatore, che alla prima pausa ha quasi esaurito la storia del cambio generazionale, ha la pessima idea di arrivare anche alla terza generazione. Il film subisce un’accelerazione brusca e innaturale, che lo porta a toccare di striscio tutti gli eventi della storia italiana fino ad arrivare ai giorni nostri … e poi torna indietro! A quel punto il pubblico è veramente stanco. Io mi sono sentito fortunato a vivere nel 2010, perché se la storia italiana fosse durata altri 30 anni il film sarebbe andato avanti ancora per un’ora.
La seconda parte della storia risulta noiosa, e soprattutto superflua, perché viene utilizzata dal regista per tirare i troppi ami lanciati in precedenza (smarrimento di oggetti magici, ecc.) a cui lo spettatore non sente il bisogno di abboccare perché se ne era assolutamente dimenticato, o, quanto meno, gli erano già sembrati poetici e perfetti nella loro incompiutezza. Ancora una volta la forbice del produttore sarebbe stata gradita.
Facendo un paragone con “Nuovo Cinema Paradiso”, poi, si riscontra la debolezza dell’obbiettivo del protagonista, che sembra non trascinare il pubblico in sala. Se infatti il sogno di diventare regista riesce a coinvolgere lo spettatore per il suo carattere universale, quello di diventare politico soltanto all’inizio è vissuto come un sogno puro, mentre nella seconda parte viene sporcato dall’impatto con la realtà; e allora diventa quasi voglia di arrivismo, più che voglia di essere, di fare, e questo accade senza che il protagonista subisca un cambiamento consapevole. Mano a mano sentiamo che il nostro legame col film, il nostro coinvolgimento, si affievolisce, finché viene a mancare.
Solo ora mi spiego l’incertezza con cui molti critici commentavano il film, probabilmente tormentati tra lo spettacolo del primo tempo e quello del secondo. È impossibile consigliarlo o sconsigliarlo. Andate a vederlo e fatevi un’idea.

Il terzo film “Cosmonauta” (che mi dicono essere più riuscito) mi sono rifiutato di vederlo, perché si concentra sullo stesso periodo storico degli altri due, e alla monotonia c’è un limite.

mercoledì 3 giugno 2009

Galassia a gambe all'aria


Forse, vista l’esperienza degli anni passati, si poteva ragionevolmente immaginare che sarebbe stato impossibile cadere più in basso, e invece gli organizzatori di Galassia Gutenberg 2009 (Liguori editore) quest’anno sono riusciti a raschiare il fondo del barile. Nessun evento particolare; nessun cartello che indicasse la presenza della fiera (alcune persone sono arrivate fin fuori la stazione marittima e avvicinandosi hanno iniziato ad avere forti dubbi che lì si svolgesse Galassia, non trovando alcuna indicazione); pubblicizzazione dell’evento neanche a parlarne. Gli editori erano pochissimi, il 95% campani, dei quali alcuni pubblicavano libri esclusivamente scritti da preti, altri facevano print on demand di 20 copie a titolo, quasi tutti erano a pagamento e provvisti di un catalogo vergognoso. E chi era in possesso degli stand più grandi? I soliti marchi storici del territorio, la cui politica editoriale degli ultimi anni ne ha provocato la morte, e che adesso cercano di portarsi nella tomba l’intera editoria campana, perché rimangono gli unici a calamitare i fondi della regione, togliendo risorse alle poche energie sane, che di quei fondi farebbero cultura, invece di intascarseli. A proposito di fondi…come avrà speso Liguori la valanga di denaro che sarebbe servita per organizzare Galassia? Non è dato saperlo. Perché il punto è che tutte questi individui che continuano ad attaccarsi alle casse della provincia per fare accanimento terapeutico a dispetto della propria evidente morte cerebrale, non devono rendere conto a nessuno di ciò che producono con questi soldi. E qui entra in gioco l’inerzia degli enti locali che rende possibile quest’atto di vampirismo, preoccupandosi solo di spendere il denaro disponibile, senza fare azione di controllo su come viene speso.

Naturalmente la fiera è stata disertata dalla gente, e gli editori hanno avuto perdite superiori al 70%; cosa che capita quando una fiera non offre nulla, il biglietti di ingresso non prevede alcun omaggio (come invece succede a Torino), e gli editori spaventanti dal deserto di compratori non applicano sconti. Sono curioso di sapere chi avrà il coraggio di ripresentarsi l’anno prossimo.

Unica nota positiva la presentazione dei superdotati a cura di “Ad est dell’equatore” (certo, sono troppo vicino alla casa editrice per farne gli elogi, ma mi appello al Mattino, il quale ha segnalato l’eccezionalità dell’evento) grazie a una splendida performance degli A67, gruppo musicale a cui consiglio di avvicinarvi. Tra l’altro Ad est è stata una delle uniche ad applicare sconti sui libri.
Per il resto, niente di nuovo sotto il cielo. Dalla città dei fantasmi è tutto.

venerdì 22 maggio 2009

Sceneggiatori


La settimana scorsa mi sono arrivate 2 mail quasi identiche, che affrontavano questo tema: il passaggio dalla scrittura di narrativa, alla scrittura cinematografica; entrambe consideravano la carriera di sceneggiatore come unica alternativa alla fame eterna. Siccome in questi ultimi anni ho provato un profondo interesse per il mondo della scrittura cinematografica (interesse più ludico che economico), e siccome non sono molto d’accordo con la conclusione a cui giungono le mail, colgo l’occasione per parlarne. Premessa: non sono uno sceneggiatore, né un addetto ai lavori; esprimo opinioni in base alla mia esperienza e alle informazioni che ho raccolto in giro. Grazie cari.
A mio parere, il primo ostacolo da affrontare è capire se siamo adatti a scrivere sceneggiature, nel senso che non sempre un bravo scrittore si rivela essere un bravo sceneggiatore, e naturalmente vale anche il contrario. Molto dipende dal nostro approccio col testo; la sceneggiatura è un affare molto più tecnico rispetto a un romanzo. In un libro, al di là di una serie di regole che è buona norma seguire, la mappa generale tende a piegarsi facilmente alla volontà dello scrittore, mentre la sceneggiatura è più rigida, a causa delle fasi in cui è scansionata (soggetto, trattamento, sceneggiatura). Nel soggetto definiamo i personaggi, le azioni, la trama. È una delle parti più creative (in pratica hai un foglio bianco e devi scriverci quello che succede), l’unica differenza con un libro è che non devi rendere i vari passaggi della storia “letterabili”. Stiamo parlando di un testo lungo massimo 4-5 cartelle dattiloscritte, perciò è facile capire quanto sia importante dire molto con meno parole possibili. Questo per alcuni scrittori è un vantaggio perché si arriva subito al dunque, per altri invece è frustrante perché vedono il proprio stile disintegrarsi. Per quanto mi riguarda, penso si tratti semplicemente di assumere una diversa prospettiva: le marche stilistiche non si legano più alle parole, ma direttamente agli eventi della storia. La nostra personalità penetra nel racconto attraverso ciò che accade (in realtà dovrebbe succedere anche in un romanzo, in quelli migliori succede). Detto così sembra facile e bello, ma il cambiamento è radicale: non possiamo entrare nei personaggi e spiegarli, dobbiamo rendere visibili i loro sentimenti, perciò bisogna ragionare esclusivamente in termini di azioni. Quello che non si vede non succede. Per assicurarci che il pubblico veda e senta tutte le fasi più importanti del film, dobbiamo progettare esattamente l’ordine e la gerarchia degli eventi. È impossibile affidarci all’improvvisazione. Quindi, le variabili che intervengono nello stabilire la nostra propensione a questo tipo di scrittura sono: (A) capacità di strutturare una trama; (B) approccio metodico al testo (non alla Kerouac, tanto per intenderci). Se vi mancano queste due qualità, lasciate perdere.

Una volta buttato giù il trattamento, si passa ai dialoghi della sceneggiatura, che sono la parte più divertente. Qui si torna alle origini, perché le scene dialogate sono un qualcosa di cui abbiamo già una forte esperienza diretta, sia come lettori, sia come scrittori. Quando tutto è finito però, c’è qualcosa che non quadra. Che cosa abbiamo tra le mani? Magari il nostro lavoro è buono, o magari non lo è, sta di fatto che è ancora un lavoro a metà. Ci vorrà un ulteriore passaggio per trasformarlo in un film: la regia. Una pessima regia può rovinare una fantastica sceneggiatura, inoltre una buona regia può essere ridimensionata da un pessimo cast di attori, o da una brutta scenografia, o semplicemente da un baget ridotto. Le variabili sono parecchie e di difficile controllo. Il problema di uno scrittore, quando lavora nel campo del cinema, è accettare l’idea della sua parzialità (problema che in letteratura non si pone, poiché lo scrittore è un Dio che controlla praticamente ogni cosa). Forse questa è la parte più difficile. D’altra parte, si condivide la responsabilità di un eventuale fallimento con una serie di persone, il ché non è male. È una questione di punti di vista, l’importante è capire che si tratta di due forme di scritture imparentate, ma molto diverse.

Lato economico. Non c’è dubbio che sia più facile arricchirsi scrivendo per il cinema, soprattutto considerando il rapporto Lavoro/Compenso, che in letteratura pende drammaticamente dal lato sbagliato. Ma quanto lavoro c’è? In Italia si producono così tanti film? Non credo proprio. È plausibile sostenere che ci sono centinaia di sceneggiatori che ringraziano Dio se hanno l’opportunità di lavorare una volta l’anno. Un mercato più florido è sicuramente quello delle fiction, ma qui i compensi sono più bassi, e poi si tratta di uno schema narrativo in parte diverso dai film, trattandosi di prodotti seriali. Quindi altro studio, altro lavoro di applicazione.

Per tirare le somme, se pensate di passare da una sponda a un’altra solo per avere guadagni facili, scordatevelo. Come in letteratura, c’è un sacco di gente che vuole emergere, e nella migliore delle ipotesi è più motivata e preparata di voi. Fatelo solo se nutrite una passione sincera per il cinema e per il LAVORO di scrittura, oltre ad avere una ferrea volontà di apprendere.


Per chi fosse interessato suggerisco due manuali fondamentali da leggere in quest’ordine:
1) IL VIAGGIO DELL’EROE, Vogler, Dino Audino editore
2) COME SCRIVERE UNA GRANDE SCENEGGIATURA, Seger, Dino Audino editore (non fatevi ingannare dal titolo, è un manuale splendido)


Per altre informazioni (scuole, concorsi, ecc…) http://www.sceneggiatori.com/

venerdì 27 marzo 2009

AAA lavoro cercasi


Ma dico io, un povero cristiano come me, - che per dirla tutta si è proprio cagato il cazzo di vivere con la sorella isterica e la madre rompipalle, le cui diverse peculiarità trovano però un interessante punto di contatto nell'assoluta incapacità di seguire un discorso logico, anche uno semplice semplice, che vada da un punto A a un punto B, senza voler quindi voler considerare le enormi insidie che si celerebbero nel dover determinare un terzo punto C, o, Dio ce ne scampi, addirittura un diabolico punto D -, dicevo, che minchia dovrei fare per trovare uno straccio di lavoro con cui guadagnare quel tanto che basta per poter condurre una vita dignitosa?

E pure, a pensarci bene, non mi manca niente. La laurea non ce l'ho, ma sono ben avviato; un'istruzione non l'ho mai avuta, e credo che mai mi si presenterà l'occasione di farmene una; la mia salute è pari a quella di un infartuato di 50 anni.

In pratica, posso fare solo il parlamentare!, però la politica mi fa schifo, e perciò il problema continua a riproporsi. Inoltre, devo prendere atto che non ciò voglia di fare un cazzo, indi per cui urge trovare uno di quei lavori in cui solo i tuoi capi sono convinti che stai faticando, quelli in cui alla consegna dello stipendio ti invade la gloriosa sensazione di aver appena rapinato una vecchietta indifesa. Se qualche lettore occasionale avesse notizie di un lavoro del genere, me lo comunichi al più presto, e io mi impegnerò a versargli 1/4 del mio stipendio, nel corrispettivo di preservativi tailandesi acquistati a metà prezzo su internet (devo pur reciclare quelli bucati).

mercoledì 4 marzo 2009

Esami:è finita!


La raccolta punti alla sapienza di Roma ha finalmente dato esito positivo, per cui, almeno per quest'anno, di esami non se ne parlerà più. Questo significa che per un paio di mesi posso mettermi a fare lo scrittore? Beh, tesi a parte, mi sa proprio di sì. Oggi ho avuto il primo approccio col romanzo che avevo lasciato raffreddare e, oltre alla certezza di tutti i suoi problemi nella parte centrale, ho avuto anche la conferma che il resto ha la sua consistenza, e rendermene conto dopo un distacco di 1 mese, mi ha riempito di motivazioni. Oggi mi faccio un bel programmino di lavoro, e così spero di terminare tutto entro un paio di mesi (meglio3). Il problema sarà riadattare la roba che va già bene così, ma che non si lega alla nuova parte centrale. Quello un pò mi scoccia, a dire il vero.

Saddà fà.

lunedì 26 gennaio 2009

importanza della revisione finale


Dopo tre mesi di meticolosa programmazione della storia, sia dal punto di vista della struttura generale, che delle scene d’azione e riflessione, e dopo altrettanti mesi di scrittura, per quello che doveva essere il mio primo romanzo con un inizio e una fine degne di questo nome, mi sono reso conto di aver commesso dei tragici errori. La parte centrale della trama, quella che dovrebbe costituire il fulcro centrale della storia, sembrava invece aver assunto la funzione di una grande parentesi, che invece di lanciare i personaggi, li sospendeva in attesa del finale. C’è da fare una premessa: questo lavoro era già stato interrotto una volta, quando mi ero accorto che la storia cominciava troppo presto. A quel punto, avevo già buttato giù 40 pagine. Allora, presi la decisione di buttarle in senso letterale, e così ho fatto. Poi ho iniziato a programmare il lavoro, dalla prima pagina, l’unica che ritenevo buona. Ma adesso, a distanza di 6 mesi, l’idea di rimettere le mani nel romanzo mi tirava talmente giù che in un primo momento ho deciso di lasciar perdere, e ho chiuso tutto in un cassetto.

Naturalmente, ho passato diverse notti in bianco. Semplicemente, era impossibile liberarmi della storia. Se la voglia di raccontarla era stata così forte da farmi letteralmente ricominciare un romanzo la prima volta, come potevo sperare di farla franca? Ho iniziato a pensare a cosa mi avesse mosso a riscriverla, e poi mi sono visto progettare il lavoro, e mi sono ricordato della terribile sensazione che qualcosa in quello schema non andasse. Quei problemi che adesso erano così evidenti, si erano già palesati in fase di programmazione, ma in quel momento ero talmente sfiancato dal lavoro, che avevo deciso di non affrontarli. Avevo solo voglia di scrivere. Mi ero messo all’opera con la speranza che, in qualche modo, quelle falle si colmassero da sole. Ecco una lezione: è impossibile risolvere un problema narrativo se non lo si affronta a brutto muso. Qualsiasi tentativo di prenderlo lateralmente, o peggio, di schivarlo, è destinato a fallire.

Allora, mentalmente, mi sono messo a lavoro sul testo, e subito ho inquadrato l’errore: avevo sbagliato a scegliere l’antagonista. In fase di programmazione, avevo temuto che l’antagonista semplicemente mancasse, per cui ne avevo inventato uno che con la storia c’entrava in maniera marginale. Per questo il romanzo, a partire dal suo ingresso, iniziava a prendere la deriva. Non mi ero accorto che il vero antagonista era lì, sotto i miei occhi, è così l’avevo ridimensionato, dandogli meno spazio di quanto meritasse. Avevo perso di vista l’obbiettivo, per colpa di un’invenzione strampalata.

Adesso ho un elemento fondamentale con cui riprogrammare il fulcro della storia. Certo, rimango un po’ abbattuto. Soprattutto perché sarà impossibile lavorarci subito, dovendo dare i miei ultimi due esami tra un paio di settimane. Inoltre, subito dopo dovrò finire la tesi e lavorare a una sceneggiatura per un corto. Ma riuscirò a fare tutto, più lentamente magari, ma ci riuscirò. Devo assolutamente tenere duro. La mia forza sarà costituita dalle persone che mi sostengono e che credono nel mio lavoro. E tra queste ci sono anch’io, naturalmente.
Un altro elemento che mi deve rendere fiducioso, sono le pagine da cui intendo ripartire. La prima volta che avevo ricominciato il libro avevo ripreso da pagina uno. Adesso le pagine buone sono addirittura 70! La roba da distruggere riguarda 40 pagine, più una ventina da riadattare, ma il resto è abbastanza flessibile da rimanere immacolato, anche dopo una revisione profonda. Il buono della storia è ancora lì, vivo e vegeto sotto le mie mani, e chiede solo le attenzione necessarie per sbocciare in un tutto il suo splendore.
Sarebbe da vigliacchi decidere di abbandonarlo proprio adesso.